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Biblioforum


Paolo Virno, Grammatica della moltitudine

  • Virno P., Grammatica della moltitudine. Per una analisi delle forme di vita contemporanee, DeriveApprodi 2003.

    In questo breve scritto l’autore mette a fuoco alcuni dei più rilevanti aspetti della vita contemporanea: l’insicurezza diffusa, il discredito della politica, le trasformazioni del mondo del lavoro, ecc., con un impianto concettuale marcatamente filosofico.
    La tesi centrale del libro è che i caratteri della moltitudine – la molteplicità che non si lascia unificare – riemergono dopo una lunga prevalenza del “popolo”, ed assistiamo oggi alla decadenza di vecchie categorie politiche e conoscitive come già nel XVII secolo.
    I tentativi di collegare l’analisi teorico filosofica coi problemi dell’attualità oscillano inevitabilmente fra il pamphlet graffiante ma filosoficamente inerte ed il saggio interessante ma politicamente fiacco. Virno si colloca egregiamente in un equilibrio lontano degli estremi ma nettamente pendente verso il versante filosofico, in una analisi la quale (come lo stesso autore riconosce lucidamente nell’Avvertenza iniziale) rinuncia ad una serrata logica argomentativa non solo per favorire la comprensibilità, né per il fatto che si tratti della trascrizione di interventi orali; ma anche perché è la punta di iceberg di una riflessione molto più complessa, completa e generale, che non potendo emergere nella sua interezza procede per sintesi e lampeggiamenti. Da ciò si origina lo sforzo che è richiesto al lettore per leggere nelle categorie del testo le ricadute concrete (che pure vi sono, e non poco significative: si veda le pp. 86-93, per esempio).
     Il libro si compone di tre sezioni, a parte un’introduzione sul concetto di moltitudine e un paragrafo finale con Dieci tesi sulla moltitudine e il capitalismo postfordista. La prima è dedicata alla differenza fra pericolo (che è determinato e si affronta comunitariamente) e timore (più indeterminato, quindi più individuale); la seconda tratta della distinzione fra Lavoro, Intelletto e Azione politica (che secondo Virno sarebbe entrata in crisi, in quanto il lavoro si svolgerebbe sempre più coi tratti comunicativi-relazionali della politica); la terza delle nuove forme di soggettività (come si diventa individui; il controllo dei corpi; opportunismo, cinismo, chiacchiera e curiosità come proiezioni sociali e psichiche del lavoro contemporaneo).
    Già da questo elenco si noterà il legame dell’autore col dibattito teorico-sociale contemporaneo: dai situazionisti della “società dello spettacolo” (Debord è citato esplicitamente), alle teorie del postfordismo; dall’analisi dell’industria culturale (scuola di Francoforte; Benjamin) all’area poststrutturalista di Foucault e Deleuse (che troviamo, negli ultimi anni, massicciamente divulgati dal Negri di Empire); e, forse, qualche suggestione di Beck. Il riferimento più forte è certo Marx.
    I molteplici riferimenti teorici trovano una loro unità sul piano speculativo, la cui astrattezza ci induce un rilievo critico verso l’autore. Da cosa dipende il passaggio dal popolo alla moltitudine? Virno non lo dice, limitandosi a suggerire che essa “da un lato ci parla della produzione sociale basata sul sapere, dall’altra dalla crisi della forma-Stato” (p. 37). I riferimenti anche più concreti cadono all’interno di questo passaggio epocale che appare fondato su nulla, salvo la citazione appena riferita che attesta solo una correlazione non spiegata ulteriormente.
    E’ forse un’osservazione ingenerosa, data la evidente familiarità del filosofo coi testi di Marx, ma è un fatto che la descrizione della fenomenologia sociale sopravanza di molto la ricerca delle cause profonde. Di certo in qualche altra sede meno soggetta alla tirannia dello spazio ci verrà data una più vasta esemplificazione di questo punto centrale.

    Il sito della casa editrice,
     molto impegnata nella teoria critica:
    www.deriveapprodi.org

    Leggi un’intervista a Paolo Virno:
    http://www.framemagazine.org/NuoviFile/Interv.html#anchor1



     

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