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Gruppo Krisis, Manifesto contro il lavoro, DeriveApprodi 2003.

  • Gruppo Krisis, Manifesto contro il lavoro, DeriveApprodi 2003.

    Rifondazione comunista e i Disobbedienti protestano per la chiusura degli impianti FIAT? Sbagliano: dovrebbero “rallegrarsi che la piovra che da quasi un secolo opprime, avvelena e distrugge l’Italia allenti finalmente la sua morsa”. ATTAC e Le Monde Diplomatique? Professano un “riformismo filo-statalista”. Il welfare state? Non una istanza da difendere, ma un qualcosa che “è sempre servito all’integrazione del materiale umano nella società capitalistica”.
    Già da tali frecciate rivolte a movimenti ritenuti generalmente critici nei confronti della società e del capitalismo si può desumere la radicalità del pensiero sviluppato dal gruppo Krisis, che raccolto attorno all’omonima rivista tedesca è impegnato a denunciare l’egemonia pressoché totalitaria che accomuna “il Papa e la Banca mondiale, Tony Blair e Jörg Haider, D’Alema e Berlusconi, sindacati e imprenditori, ecologisti tedeschi e socialisti francesi” (p. 5): quella dell’ideologia del lavoro.
    Il libro si compone di quattro sezioni: il Manifesto contro il lavoro vero e proprio, un saggio di Robert Kurz (il più noto fra gli intellettuali del gruppo), un altro contributo a quattro mani delo stesso Kurz e di Norbert Trenke e una postfazione di Anselm Jappe. Quest’ultimo è anche uno dei traduttori, per cui il suo contributo (il cui sottotitolo suona “Il gruppo Krisis, la crisi del lavoro e il ‘primato civile degli italiani’” ) è rivolto esplicitamente al lettore italiano. È per questo motivo che è forse più convenienete partire di qui per affrontare il resto del volume, in quanto si introduce brevemente l’atmosfera culturale di Krisis coi suoi presuposti teorici, si spiegano alcune particolarità del contesto tedesco, e si riflette sulla situazione italiana.
    Il Manifesto è scritto – come è nella tradizione dei movimenti tanto sociali che artistici – più per comunicare e provocare un dibattito che per argomentare; perciò quanto questo appare talvolta paradossale e rigido nei collegamenti concettuali, tanto più i due saggi seguenti sono solidamente argomentati. Vediamo brevemente i punti essenziali dell’argomentazione.
    Il gruppo Krisis parte da presupposti fortemente legati al marxismo, ma in modo tale da entrare in rotta di collisione con pressoché tutta la sinistra storica. Questa, infatti, si sarebbe concentrata sulla redistribuzione della ricchezza, tralasciando la produzione: un processo che si compie con la “vendita” del proprio tempo (o meglio con l’equazione tempo=denaro: la vendita si ascrive tradizionalmente all’operaio, mentre per Krisis anche il dirigente è schiavizzato da tale necessità; di conseguenza la dualità proletario-padrone è molto attenuata). L’attività umana è dunque sempre più finalizzata al guadagno di denaro, non corrisponde più ad alcun bisogno umano concreto. È questo che Krisis chiama “lavoro”, distinguendolo dalle pratiche con le quali, nel corso della sua storia ha prodotto i mezzi della sua sussistenza (fabbricazione di vestiti e strumenti, coltivazione, ecc).
    Si capisce quindi l’essenza del Manifesto contro il lavoro, un forte anticapitalismo diretto contro il lavoro, appunto, proprio di un contesto capitalistico. Che investe tutte le istanze legate ad esso: la democrazia (“la democrazia è il contrario della libertà”, p. 33), il welfare state, lo stesso movimento operaio e la sinistra, in quanto accettano il sistema capitalista e vi integrano i lavoratori, pur ricavando loro spazi di redistribuzione economica. Contrariamente ai movimenti di sinistra “alternativa”, Krisis non accusa la sinistra di governo di aver tradito i valori del socialismo storico in quanto non c’è nulla da tradire in realtà. Il solo che abbia svolto una critica del lavoro è stato  Marx (e neanche i maniera soddisfacente!).
    Il testo, tuttavia non è solo una presa di posizione basata su un’analisi storica, ma si lega fortemente col panorama contemporaneo; stabilito che il lavoro è non il nemico ma il fratello del capitale (col tempo-merce che fa da tramite) si aggiunge che il lavoro è in irreversibile crisi, in quanto l’aumento abnorme della disoccupazione mostra come la società possa produrre quote crescenti di capitale senza impiegare lavoratori. Ciò è connesso con la “terza rivoluzione industriale” dell’informatica (purtroppo il testo non approfondisce questo interessante collegamento), e lo sforzo costante di mascherare questa realtà è paragonabile a quello di tenere in vita un cadavere. Quello del lavoro, appunto.
    Ma Krisis non è affatto un apologeta del “postindustrialismo”: l’espulsione di massa dal mercato del lavoro non conduce affatto verso una condizione migliore, ma verso “l’apartheid sociale neoliberale”, regno di repressione polizesca; né va meglio per i pochi eletti provvisti di lavoro, sempre più torturati dall’assillo della concorrenza. Per quanto non siano affatto tenere con la sinistra, le analisi del gruppo denunciano senza sosta la logica oppressiva e bugiarda del neoliberismo.
    È arduo commentare brevemente tesi di tale ampiezza e radicalità, ma due osservazioni paiono d’obbligo.
    La prima è che esse, sebbene si basino su di un’eredità intellettuale marxista, si allontanano tanto dalle posteriori elaborazioni da poter essere ben accette a figure quali Marco Tarchi e Franco Cardini (entrambi vengono da destra e mirano ad un pensiero politico ecletticamente anticapitalista, al di là delle distinzioni tradizionali).
    La seconda è che affermando la centralità del tema-lavoro l’analisi mostra una certa unilateralità: alcune tematiche collaterali sfiorate (immigrazione, rapporti nord-sud, collasso ambientale, egemonia culturale e invasività del lavoro nella sfera personale), paiono viste sotto il pesante (diremmo eccessivo) condizionamento di tale filo rosso. Ciò viene in parte superato nei saggi centrali del libro con la connessione con la storia militare e dell’assolutismo protomoderno e con la terza rivoluzine industriale”. Forse un’impostazione più aperta verso altri punti di vista porterebbe ad un rapporto un poco più sereno di questa scuola critica, indubbiamente acuta e stimolante, con altri filoni di pensiero critico. Almeno per limitare una certa “sindrome dell’accerchiamento” che si nota talvolta nel testo.

    Il sito del Gruppo Krisis, con testi anche in italiano:
    www.krisis.org
    Il sito della casa editrice DeriveApprodi, molto impegnata nella teoria critica:
    www.deriveapprodi.org

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