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Biblioforum


Santos Boaventura de Sousa (a cura di), Democratizzare la democrazia, Città Aperta 2003.

  •  Santos Boaventura de Sousa (a cura di), Democratizzare la democrazia, Città Aperta 2003.

    Con questo testo il sociologo portoghese Boaventura de Sousa Santos, già noto in Italia per un agile libretto sul Forum Sociale Mondiale(1), propone i risultati di un mastodontico progetto di ricerca – di cui è ispiratore e coordinatore – che ha coinvolto sessantanove ricercatori, si è svolto in sei paesi di diversi continenti (Brasile, Colombia, Mozambico, India, Portogallo e Sudafrica) ed ha analizzato circa sessanta fra iniziative, movimenti e situazioni.
    Numeri, come si vede, da far tremar le vene e i polsi. Il risultato è esposto in sette volumi di cui il presente è il primo, contenente l’introduzione all’intera opera. Va dato atto del coraggio di Città Aperta edizioni nel proporre un insieme di tale vastità; impresa certamente meritoria, dato che si tratta di un qualcosa di unico nel panorama editoriale italiano. E forse neanche all’estero esiste niente del genere.
    Nella (ovvia) impossibilità di rendere conto della stupefacente ricchezza dei temi e delle prospettive dei vari saggi – fruibili in piena autonomia – si può però farsene un’idea vedendo i presupposti della ricerca ed i suoi intenti di fondo. Il progetto si intitola “Reinventare l’emancipazione sociale: verso nuovi Manifesti”, ed il tema affrontato è la globalizzazione alternativa antiegemonica(2).Con essa Sousa Santos intende l’insieme di iniziative, mobilitazioni e reti organizzative che nei cinque continenti reagiscono all’egemonia neoliberale(3) nei seguenti campi: democrazia partecipativa; sistemi alternativi di produzione; multiculturalismo e cittadinanza culturale; biodiversità e conoscenze alternativa; nuovo internazionalismo operaio.
    Il progetto mira nel suo complesso a due scopi, fondamentalmente. Entrambi si fondano sul presupposto che l’unica alternativa alla globalizzazione non consista in un ripiegamento nazionalistico o localistico sul proprio interesse individuale di comunità(4), ma sia possibile una rete di alleanza solidale di tutte le piccole realtà che ad essa si oppongono. Non quindi universalismo (capitalista) contro localismo, ma internazionalismo liberale-capitalista contro universalismo solidale dei diritti(5). Le due finalità sono di natura teorica e pratica.
    Sul versante teorico l’obbiettivo è contestare costruttivamente la scienza(6) prodotta dai paesi dominanti, che rispetto alle situazioni dei paesi periferici si mostra inadeguata e antiquata, oltre che terribilmente chiusa e autoreferenziale, dato che definendo se stessa universale riconosce i saperi alternativi solo nella misura in cui riesca a cannibalizzarli; l’intento è rompere questa esclusività recuperando tali saperi. Presupposto fondamentale è che qualsiasi forma di conoscenza è legata ad una determinata cultura, e quindi è sempre – in qualche modo – locale. Il risultato a cui lo studio mira non è la distruzione dell’universalità del sapere, ma del porre nella sfera di questa universalità il dialogo di saperi al posto del monopolio attuale.
    Dal punto di vista pratico si intende fornire un sostegno intellettuale all’odierna emancipazione sociale, indagando oltre i grandi gesti eclatanti che cadono sotto i riflettori – contestazioni di massa a Seattle, Genova, Cancun, ecc – il lavoro silenzioso di comunità e culture che si oppongono ai grandi poteri globali con iniziative locali ma gravide di ispirazione per tutti coloro impegnati in forme di resistenza simili. La ricerca in tale direzione risponde indirettamente tanto alle critiche della destra anticapitalista(7) quanto al possibile ripiegamento dei movimenti derivato dalla carenza di azioni eclatanti e visibili.
    Da un punto di vista puramente teorico il testo non può che far discutere in ambito accademico, tanto è apertamente legato ad un impegno militante, magari riproponendo il mai risolto dibattito sulla neutralità delle scienze sociali(8). Ma pare improbabile aspettarsi in brevi termini i volumi curati da Santos nei programmi universitari, in quanto la loro sostanza pare fuoriuscire non solo da comodi paradigmi teorici, ma della stessa forma di sapere occidentale, più centrato sulla coerenza teorico-concettuale che risultante dalla concreta esperienza dei fenomeni, dalla pratica interazione con essi.
    Al di fuori di tali ambienti, il referente più immediato restano certo i movimenti sociali e le forze politiche ad essi più simpatetiche. Ma speriamo che il complesso dell’opera fornisca basi di approfondimento anche a coloro che si ostinano tutt’oggi a considerare i movimenti come un’esperienza prevalentemente emotiva, senza razionalità e logica.


    Leggi per esteso  la presentazione di Boaventura de Sousa Santos e l’introduzione di Giovanni allegretti:
    http://www.worldsocialagenda.org/long/DD.htm

    Leggi la Carta del Nuovo Municipio, un progetto di democrazia diretta per gli enti locali:
    http://www.unifi.it/lapei/Carta.html


    1 Santos Boaventura de Sousa, Il Forum Sociale Mondiale, Citta Aperta 2003.

    2 Vedi p. XI dell’Introduzione.

    3 Per “neoliberismo” – o “neoliberalismo” si intende quella corrente di pensiero (e l’azione politica ad essa ispirata) che alla tradizionale valorizzazione del liberalismo classico delle libertà individuali affianca un’inedita enfatizzazione dei meccanismi del mercato e dell’economia come mezzi di progresso umano. I suoi più eminenti pensatori sono Friedrich van Hayek e Milton Friedman; i suoi più zelanti attuatori in politica il generale Pinochet, Margaret Tatcher e Ronald Reagan.

    4 Tale è la posizione di svariati gruppi e intellettuali che si riconoscono in posizioni di destra più tradizionalista, rivalutando le tradizioni locali (la religione, la famiglia, la lingua), e l’importanza dello stato-nazione (con sfumature di patriottismo). Se nell’opposizione critica al capitalismo internazionale vi possono essere convergenze con varie frange altermondialiste, la possibilità da parte di queste istanze neonazionalistiche di formulare proposte adeguate ai problemi attuali (crisi ecologica, sottosviluppo, pace mondiale) pare molto dubbia. Per non parlare dell’attitudine ad abbracciare una reale prospettiva universalista, inclusiva dei diritti di soggetti esterni alla propria cultura.

    5 Pare più proprio parlare di internazionalismo nei confronti del capitalismo contemporaneo, in quanto la indubbia attitudine ad inglobare il maggior numero possibile di soggetti all’interno del sistema dominate non si traduce in una ricaduta veramente universale (cioè a tutti gli strati sociali) del benessere.

    6 Si intende con tale termine prevalentemente – ma non esclusivamente – le scienze sociali: sociologia, economia.

    7 Si veda a tal proposito la posizione di Massimo Fini 2004, il quale simpatizzando per il movimento no-global, assume un tono più distaccato quando esso, denominatosi in qualche sede new-global, tenta di assumere un aspetto più propositivo; tentativo questo che – secondo il saggista – si traduce in una nuova imposizione di stili di vita occidentali sulle altre culture. Seguendo il punto di vista del testo recensito l’errore di Fini consiste in una sottovalutazione del collegamento fra le vive forze sociali del Terzo Mondo e i movimenti no-global presenti in Occidente. In altre parole, per lui la globalizzazione antiegemonica non può esistere, consistendo sempre e solo in un centro che determina tirannicamente la “periferia”.

    8 La questione, ridotta alla sua essenza concettuale, verte su due posizioni antagonistiche fondamentali: secondo alcuni una disciplina schierata apertamente non è scientifica; per altri la pretesa di neutralità è puramente ideologica, e serve a camuffare una posizione “militante” – mascherandola però da verità oggettiva.
        Va detto che il testo in questione pare aver avuto una recezione piuttosto modesta sul mondo accademico italiano: a tutt’oggi – novembre 2004 – in seguito ad una (seppur rapida) ricerca, non è stato possibile trovare sulla rete una sola recensione, se non su siti vicini ai movimenti, e perciò tanto interessati ai contenuti politici quanto remoti da discussioni teoriche.

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